Un reportage lungo tre anni che racconta, attraverso le parole di chi sopravvive al femminicidio, gli esiti drammatici della violenza di genere.
A vivere le conseguenze del femminicidio sono madri, padri, sorelle, fratelli, figlie e figli. A loro restano i giorni del dopo, i ricordi immobili trattenuti dalle cornici, le spese legali, le umiliazioni nei tribunali, le accuse mediatiche del «se l’è cercata», «era una poco di buono».
Sempre più familiari intraprendono battaglie quotidiane, con l'obiettivo di dimostrare che un femminicidio non può essere attribuito al caso, ma è un fenomeno con radici culturali e sociali profonde, attecchite su un senso di proprietà e di dominio degli uomini sulle donne ancora molto diffuso.
"La reazione all’infinito dolore individuale, che da personale diventa politico, fatica a essere riconosciuta a livello istituzionale e mediatico. Eppure sono in molti a non smettere di combattere contro l’invisibilità e il silenzio, nemmeno a distanza di decenni dalla morte delle loro figlie, delle madri, delle sorelle. Il vero amore è questo, non quello degli uomini che le hanno uccise" (Stefania Prandi).
Oltre alla pubblicazione del libro, è stata organizzata una mostra fotografica che ha catturato, attraverso le fotografie, lo sguardo delle vittime del femminicidio in vita: i familiari delle donne uccise. L’intento è di offrire uno spazio di riflessione su quanto la violenza di genere non termini con il femminicidio, ma continui a influenzare profondamente le vite di chi resta.